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MusicZone – Blur

THE BALLAD OF DARREN

Dopo 8 anni i blur pubblicano il loro primo album in studio dal titolo The Ballad of Darren con 10 nuovi brani, il 21 luglio su etichetta Parlophone Prodotto da James Ford e registrato allo Studio 13 a Londra e nel Devon

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The Ballad of Darren é il nono album in studio della band, il loro primo dopo il successo in classifica di The Magic Whip del 2015 con la cover del fotografo britannico Martin Parr.

“I just looked into my life / and all I saw / is that you’re not coming back”. La voce di Damon Albarn è profonda, dolente, accorata, carica di emozione. Inizia così, su accordi di piano di chiara ascendenza lennoniana, The Ballad (e il relativo, quasi omonimo disco): versi di un’onestà brutale, da togliere il fiato, a mettere subito in chiaro che i Blur, oggi, sono qualcosa di profondamente diverso dalla band che abbiamo sempre conosciuto. Diversi dai ragazzetti sfrontati e baggy di Leisure. Diversi dai campioni Britpop della trilogia Modern Life Is Rubbish / Parklife / The Great Escape. Diversi dai quattro sovvertitori in guerra col mondo (e con sé stessi) di Blur e 13. Diversi dai sopravvissuti di Think Tank e The Magic Whip. Inevitabilmente.

Sono passati trentacinque anni dalla loro formazione. Trenta dai fasti di quegli anni ’90 che li hanno visti protagonisti assoluti di una stagione irripetibile; venti dal primo, vero scioglimento (con l’abbandono di Graham Coxon, tassello fondamentale e cuore sonico del gruppo); quattordici dalla prima trionfale reunion a Hyde Park; nove dall’ultimo lavoro in studio, realizzato quasi incidentalmente dopo essersi riformati. Questi numeri sono importanti. Gli anni trascorsi non sono pochi. Contano. Hanno un loro peso, e questo nuovo The Ballad Of Darren – arrivato quasi inaspettatamente alla vigilia dell’ormai ennesimo ritorno dal vivo, segnato dall’apoteosi di carriera dei due concerti allo stadio di Wembley – parla, essenzialmente, di questo. Non è poco.

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Con una storia come la loro alle spalle, i Blur potrebbero benissimo accontentarsi della gloria postuma e delle meritatissime celebrazioni. Come, giustamente, fanno già; meglio e più di altri. Ma non può bastare. E allora sì, è possibile: si può esistere come legacy act, leggende viventi da osannare e celebrare, e anche come band funzionale, contemporanea, veicolo espressivo di quel che si vuole e si può esprimere solo nel momento presente. Non sono in molti a farlo, o a riuscirci così bene. D’altronde, con un leader così, non è possibile altrimenti. Albarn, oggi cinquantacinquenne, è da tempo la dimostrazione vivente di come curiosità, ispirazione, esigenza espressiva possano essere il motore di un’attività artistica irrefrenabile, di un bisogno che non può conoscere limiti, che sa adattarsi a forme e medium diversi a seconda del momento.

Da buon workaholic, Damon ha iniziato a scrivere queste dieci nuove canzoni (in realtà molte di più, al punto che si era persino pensato a un album doppio) durante un recente tour dei Gorillaz in America, servendosi di uno studio portatile messo su per l’occasione in hotel. Le circostanze felici del momento – o l’allineamento propizio degli astri, o forse non poteva davvero che essere così – hanno fatto sì che il seguente appuntamento in agenda (messa a punto con successo la pratica Cracker Island) segnasse l’imminente rimpatriata con Graham, Alex e Dave, e così quei bozzetti estremamente personali e intimi, scaturiti da uno stato d’animo ispirato e meditativo, figlio di papà Bowie (quello crepuscolare di The Next Day) e in continuità con l’eccellente The Nearer The Fountain, The More Pure The Stream Flows (passando per la malinconia color seppia dello splendido Merrie Land a nome The Good, The Bad And The Queen), sono diventati il nono album dei Blur.

Tutto qui suona organico, fluido, a partire dal singolo apripista The Narcissist, la cui ariosità pop si apre in modo inedito per i Quattro, in un suono classico eppure rinnovato, con un carico di emozione palpabile nella tensione degli accordi, nella melodia, nella voce. Anche l’altro episodio più apertamente radiofonico, l’eccellente super-singolo Barbaric che, tra sound e batterie discendenti dai Gorillaz (e/o Royal Morning Blue da Fountain), una progressione armonica estremamente diretta e refrain melodici indimenticabili condensa una canzone da manuale, nasconde una malinconia crepuscolare a sicura presa emotiva (“I have lost the feeling that I thought I’d never lose”) .

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Sembra quasi facile oggi, con il senno del poi e alla luce del presente, dire che i Blur sono l’ultima grande brit band, tra le migliori – se non la migliore – di una generazione (anzi, di una specie) in via di inesorabile estinzione. I concerti e le celebrazioni di massa servono a questo. Ma un disco così, di questi tempi, è davvero un regalo da cielo.

Lista Brani

1 The Ballad
2 St. Charles Square
3 Barbaric
4 Russian Strings
5 The Everglades (For Leonard)
6 The Narcissist
7 Goodbye Albert
8 Far Away Island
9 Avalon
10 The Heights

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